San GiacomoLa parrocchiale di S. Giacomo (ante 1634-74) sorge nel nucleo più antico di Nughedu Santa Vittoria, anticamente compresa nella diocesi del Barigadu, e prospetta su un'ampia piazza della quale costituisce lo scenografico fondale architettonico. V. Angius, che definisce l'edificio «piuttosto di bella forma e decente», riporta l'epigrafe un tempo collocata nel coro e oggi scomparsa, datata 1634 e concernente la fine dei lavori di costruzione, riferibile, con ogni probabilità, al solo interno, essendo procuratore Gregorio (o Georgio) Plassa: "PROCVRANTE GREGORIO PLASSA HOC OPVS PERFECTVM FVIT ANNO A NATIVITATE DOMINI M. DC. XXXIIII".

Stessa data è incisa nella chiave gemmata del presbiterio. Per il prospetto dovrebbe valere invece la data del 1674 incisa entro uno scudo nel timpano del portale. L'interno della chiesa, recentemente incupito da un pesante e discutibile intervento di restauro, segue la tradizione gotico-catalana nell'impianto canonico ad aula mononavata con archi diaframma a sesto acuto che in origine dovevano reggere una copertura lignea; le cappelle laterali sono voltate a botte a tutto sesto e si raccordano all'aula mediante arconi a pieno sesto in conci lisci di trachite rossa gravanti su tozzi pilastri; la capilla mayor quadrangolare, più bassa e stretta della navata - in linea con l'interpretazione sarda che generalmente viene realizzata nei vani presbiteriali e differente dalle soluzioni elaborate in terra iberica, dove sono decisamente più articolati e quasi sempre dotati di deambulatorio -, si affaccia all'aula mediante un arco a sesto acuto in trachite modanato a tori e gole, poggiante su capitelli figurati a motivi fito-zoomorfi, difficilmente leggibili per il cattivo stato di conservazione della pietra; l'ambiente è coperto con volta a crociera con massiccia gemma pendula e sostenuta da poderosi costoloni modanati impostati su peducci decorati a fogliami dall'intaglio piuttosto sommario. Ai due lati dell'arco presbiteriale si aprono due nicchie centinate con catini valviformi sormontati da mensole aggettanti sorrette da peducci a ricciolo di marca manieristica ma rilette con sensibilità vernacolare; allo stesso gusto sono ispirate alcune nicchie ed edicole collocate nelle cappelle laterali. Il prospetto, in conci di trachite rosa accuratamente tagliati, segue anch'esso la stessa tradizione nel terminale piano con merlature a tridente, ma se ne discosta per il sapiente uso di un modulo quadrato che conferisce alla facciata proporzioni rinascimentali. Ad accrescere tale sensazione contribuiscono non poco il portale tardomanieristico a timpano curvilineo spezzato, poggiante su semicolonne scanalate e rudentate impostate su alti plinti, e il cornicione di mezzeria, dentellato e alternante rosette e punte di diamante in rilievo, che taglia orizzontalmente il prospetto. La sicura impostazione spaziale riassorbe e amalgama il bel rosone cigliato coerentemente gotico, determinando la soluzione più armonica e coerente tra le proposte coeve delle parrocchiali di Gavoi, di Ardauli e del S. Mauro di Sorgono, anch'esse ispirate a un gusto sincretistico orientato verso effetti cromatico-planari che «permetteva di svuotare dei vecchi significati segni linguistici disparati e perfino opposti per piegarli a significati nuovi» (C. Maltese, R. Serra).

 

Novenario campestre di S. Basilio

La media valle del Tirso, costituita a sinistra dal Barigadu Susu e a destra dall'altopiano di Abbasanta è costellata da innumerevoli chiesette campestri tutte intitolate a santi bizantini. Sono generalmente piccoli e medi edifici chiesastici ricostruiti intorno alla metà del 1600 in stile cosiddetto gotico aragonese su precedenti impianti di culto bizantino.
Si affacciano tutte sulla splendida conca del grande lago Omodeo e da ognuna di esse si scorgono generalmente le altre, offrendo, insieme ai rispettivi paesi di appartenenza, uno scenario di forte spettacolarità.
Intorno ad ognuna di queste chiesette sopravvivono ancora antiche e modeste casupole, chiamate "muristenes", destinate ad ospitare i devoti durante i novenari. Per nove notti consecutive la popolazione esprime, in una sorta di ritiro spirituale, la propria devozione al santo. Oltre alle devozioni religiose che vengono espletate all'alba e poco prima del tramonto per lasciare il resto della giornata alle occupazioni lavorative, tutte le notti vengono allietate da canti e balli cui partecipa, oltre ai "novenanti", anche altra parte della popolazione che dopo cena si reca al novenario per tenere compagnia ai devoti. La pratica delle novene si perde nella notte dei tempi e risale all'arrivo in Sardegna, nella seconda metà del primo millennio, dei monaci bizantini che abbandonarono i loro luoghi di origine in seguito alle persecuzioni di Leone Isaurico che, influenzato dalla cultura islamica, proibì il culto delle immagini sacre. Le nove notti di raccoglimento spirituale rappresentavano inizialmente una sorta di scolarizzazione del culto dei nuovi santi portati dai monaci nell'isola, per poi trasformarsi in un perenne culto devozionale, arrivato fino ai nostri giorni praticamente intatto. In periodo giudicale, agli inizi del secondo millennio, questi incontri religiosi si adattarono alle esigenze agricole, diventando anche luogo di ritrovo degli agricoltori che avevano necessità di incontrarsi per programmare le loro attività lavorative. Durante le novene si stipulavano gli accordi di lavoro per le imminenti vendemmie. La maggior parte dei novenari si trova infatti inserito in territori un tempo adibiti ad una intensa coltura viticola (il baldacchino per il trasporto processionale del San Basilio di Nughedu porta ancora le colonne ornate con tralci di vite).

S. Basilio Magno è un novenario campestre situato a 2 km dal centro abitato. La chiesa è stata realizzata in stile tardo gotico - catalano risalente al 1600, presenta un porticato sorretto da otto colone su un lato e i caratteristici muristenes dall'altro. Dalle linee architettoniche semplici, la chiesa è databile nelle forme attuali al primo trentennio del XVII secolo. Risulta attualmente quasi completamente intonacata con malta di calce sia esternamente che internamente. E' costituita da un'unica navata a pianta rettangolare, scandita in quattro campate da archi a sesto acuto in conci di trachite. Su uno dei lati corti della navata, in posizione opposta rispetto alla porta principale d'ingresso, si inserisce lo spazio occupato dal presbiterio e dall'abside, rialzato da un gradino rispetto alla navata, ospitante l'altare in muratura con il sovrastante gruppo scultoreo del Santo e in posizione più avanzata verso la navata, la mensa in legno per la celebrazione dell'Eucaristia. Sul lato sinistro e destro e posteriore sono presenti delle sedute coperte con lastre di trachite. Il corpo del presbiterio risulta aggiunto, presenta pianta rettangolare, copertura con volta a botte con imposta segnata da una robusta cornice, ingentilito nelle pareti laterali da due scuffie lanceolate dove si inseriscono due finestrelle. Sempre dal presbiterio si accede alla sacrestia, attraverso una porticina con architrave monolitico in trachite, recante questa incisione " HOC OPUS ANO DMN 1834" (probabilmente fu l'anno che ha determinato lo stato attuale dell'edificio con la costruzione del presbiterio). La navata in prossimità degli ingressi principale e laterale, della terza e quarta campata di sinistra, presenta tracce dell'originaria pavimentazione in trachite, coperta attualmente da una recente realizzata in marmette, mentre nelle pareti laterali della prima campata risultano inoltre visibili sia dall'interno che dall'esterno due arconi obliterati. La copertura della navata è in travi e arcarecci in legno con cannicciata e manto di copertura in coppi. Sulla facciata principale, il portone d'ingresso è racchiuso da due colonne su plinti in trachite, che reggono una trabeazione rettilinea. Altri due plinti, di modeste dimensioni sostengono due colonnine alveolare terminanti in capitelli e fascione floreale portanti l'arco a tutto sesto a ghiera gradonata. Sull'architrave gradonato poggiante sulle due colonne laterali, si apre una finestra quadrangolare con profondo sguancio gradonato. Sul lato destro del prospetto si inserisce un modesto campanile a vela e sullo stesso fianco corre un porticato coperto in coppi con la stessa falda della copertura dell'aula. Il portico è sostenuto da otto colonne in trachite impostate su massicci plinti dello stesso materiale, sormontate da capitelli con tori e gole con mensole che reggono l'architrave ligneo della copertura.
L'area circostante la chiesa è delimitata attualmente per tre lati da una serie di costruzioni che occupano attualmente una superficie di circa 300 mq, che racchiudono lo spazio del sagrato, chiamato dai Nughedesi "sa corte de sa festa", cioè "la corte (cortile) della festa". Si tratta di edifici costruiti con pietrame trachitico reperito in loco legato con malta di calce e fango, piccole casette che servivano di rifugio ai fedeli che in passato vi trascorrevano tutto il periodo della novena e della festa. Allo stato attuale queste costruzioni comprendono:
- 12 "Muristenes": piccole abitazioni costituite da un unico vano, a pian terreno, che in occasione della novena vengono concesse a chi ne fa richiesta;
- 3 "Muristenes" parzialmente crollati;
a) il perimetro della casa denominata "casa rettorale" costruita originariamente su due livelli;
b) un loggiato, utilizzato durante la festa per i servizi gastronomici;

 

Bibliografia

F. Segni Pulvirenti-A. Sari, Architettura tardogotica e d'influsso rinascimentale, collana "Storia dell'arte in Sardegna", Nuoro, Ilisso, 1994, sch. 73