Il Carnevale di Ottana affonda le proprie radici nella cultura rurale, di cui mette in scena i momenti più importanti. Ha mantenuto una sua particolare originalità rispetto agli altri carnevali barbaricini ed, inoltre, non ha subito sostanziali mutazioni nel corso degli anni, probabilmente, a causa dell’isolamento in cui è vissuto il paese per lungo tempo.

La semplice rappresentazione della vita contadina è alla base di questo carnevale che si intreccia con riti antichissimi, dei quali, secondo gli antropologi, mantiene alcune tracce. Tra questi riti in particolare si fa riferimento ad un rito apotropaico tipico delle antiche civiltà del Mediterraneo, in onore del dio Dioniso, che ogni anno rinasce a primavera risvegliando la terra e la vegetazione.

Le caratteristiche del carnevale ottanese però conducono piuttosto al cosiddetto “culto del bove”, praticato sin dal neolitico in tutte le società agro-pastorali del Mediterraneo antico, dove il toro era simbolo di forza, vitalità e fertilità. Anche questo rito avrebbe funzione apotropaica e si praticava per proteggersi dagli spiriti maligni e per propiziare la fertilità degli armenti. Se l’uomo, soggiogando e adorando Su Boe, corre il rischio di divenire simile all’animale, il carnevale, mettendo in scena ironicamente l’avvenuta trasformazione, tende ad esorcizzare il rischio che questa diventi realtà nel quotidiano per il contadino.


Forse questi riferimenti a riti antichi, può trovare conferma nel fatto che, così come riferiscono le persone anziane del paese, le uscite delle maschere tipiche avvenivano, prima del carnevale vero e proprio, oltre che il 16 gennaio, anche in occasione della ricorrenza di San Sebastiano, 20 gennaio ed il 2 di febbraio giorno della Candelora. Ricorrenze che sono un chiaro riferimento ad altri periodi che coincidono con culti pagani.